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Maggiora divenne entità autonoma nella prima meta del 1300. Se di quel periodo le notizie sono sporadiche e frammentarie si può comprendere come risulti difficoltoso ed impreciso il contesto storico dei secoli precedenti.
Tuttavia, considerando le vicende dei territori viciniori, gli studi eseguiti a livello più ampio e i ritrovamenti documentati, si riesce a ricostruire sommariamente la storia di Maggiora alle origini.
Le scoperte archeologiche in siti non molto distanti da Maggiora ci confermano che, sul monte Fenera, nel Paleolitico vivevano uomini ed animali, tanto che sono stati rinvenuti busti di donna e di orso speleo; le palafitte di Mercurago si fanno invece risalire al neolitico.
Nell’età del Ferro anche il territorio maggiorese dev’essere stato influenzato dalla civiltà di Golasecca, di cui è testimonianza la tomba al colle di San Michele del 1200 a. C. ca.
Una prova della presenza umana è la cuspide di lancia di metallo, di forma foliata, lunga diciotto centimetri e larga quattro e mezzo, risalente al periodo compreso dal 1200 al 900 a. C., ritrovata nei dintorni di Maggiora nel secolo scorso ed ora esposta al Museo Civico di Novara.
I primi abitanti della zona furono i Liguri o Lygori o Gori il cui nome pronunciato aspirando la lettera G suonava come Ori da cui potrebbe derivare il toponomastico Maxoria.
I Celti o Insubri la chiamarono Mag-oria e vi portarono una civiltà più evoluta in cui erano maggiormente praticati l’allevamento e la metallurgia. Confermano il loro passaggio la lapide di Gattico, le coppelle delle Verzole di Maggiora, l’origine celtica del toponomastico Vergano.
Dopo due o tre secoli di stanziamento celtico, nel 1° secolo d.C. iniziò la conquista da parte dei Romani. Le due civiltà si fusero dando luogo ad una struttura amministrativa vincolata dalle leggi di Roma, in cui le condizioni di vita ed il substrato culturale erano di tipo gallico.
Avvenne una colonizzazione delle terre del Novarese da parte di famiglie romane; si diffuse il culto di Mercurio e delle Matrone; nel 196 d. C., per volere dell’imperatore Settimio Severo, si costruiva una strada che attraversava il Novarese, poi divenuta via Francisca da Novara all’Ossola.
Con la Lex Pompeia de Gallia Citeriore dell’89 a. C., Roma aveva patteggiato con Novara dotandola di più territori che divenivano colonie latine a vantaggio dei latifondisti romani.
Anche il nostro territorio entrava a far parte del comprensorio di Novara e le terre vennero sottoposte alla centuriazione, un sistema particolare di sistemazione catastale che contraddistinse il paesaggio agrario in maniera notevole.
Località di origine romana era S. Martino di Cureggio. Giunti i Longobardi nel 600, il paesaggio agrario si modificò con appezzamenti, già ridotti col tempo, che vennero recintati da siepi e muretti, com’è testimoniato dagli studi nelle vigne del Colombaro.
Il territorio passò poi sotto l’influenza dei Carolingi, in particolare dei Conti di Pombia, che nell’arco di un secolo (973 - 1093), parteciparono alla vita politica italica e nella loro contea fecero erigere monasteri, ospizi per viandanti, chiese. Restringendo la ricerca a menzioni dirette, si può ricordare che nell’840 il vescovo Adalgiso, col permesso imperiale, riceveva le decime ecclesiastiche della biada, del vino e delle pecore di numerose curtis tra cui quella di Boca.
Il nostro territorio nell’anno mille non aveva ancora una chiesa propria e gravitava sulla pieve di Cureggio, da cui partiva la via Bocascha che si approssimava al Sizzone. Della famiglia dei Conti di Pombia era Guido di Biandrate, che divenne signore di Maggiora.
Fulvia Minazzoli
FONTI BIBLIOGRAFICHE:
A. Rusconi, Le origini novaresi, Novara, 1877.
E. Lomaglio, Le origini di Maggiora ed il Medio Novarese in età comunale, Maggiora, 1978.
FONTI BIBLIOGRAFICHE
Il nucleo originario di Maggiora era Muzzano che, nei primi dell'anno 1000, con Piazo e Boca formava un unico agglomerato facente capo alla pieve di Cureggio.
Nella seconda metà dell'XI secolo il territorio divenne proprietà dei conti di Biandrate; nel 1217 venne ceduto dagli stessi alla città di Vercelli in cambio del diritto di feudalità che venne esercitato fino alla decadenza del casato.
Muzzano e le terre limitrofe passarono poi sotto il controllo dei guelfi Brusati e Cavallazzi sino al 1311, anno della distruzione del castello di Montalbano ad opera dei ghibellini Tornielli. Fu con molta probabilità questo fatto ad indurre la popolazione, per motivi di sicurezza, ad abbandonare almeno in parte Muzzano e a stabilirsi sulla collina più ad est. La separazione da Boca avvenne prima del 1342 e il Comune prese il toponomastico di "Maxoria".
Con la vittoria dei Tornielli, dal 1316 Maggiora entrò a far parte della squadra della Sesia sotto la signoria di Galeazzo Visconti. La guerra tra il duca e i marchesi del Monferrato nel 1361 portò il passaggio degli inglesi mercenari di Stertz e con essi la devastazione. Maggiora rimase sotto il dominio milanese tramite i Tornielli.
Nel 1449 con Francesco I Sforza Maggiora divenne feudo di Giovanni Tornielli Lorena; nel 1488 passò a Carlo Tornielli eli Gerbeviller che lo lasciò ai discendenti filo-spagnoli fino al 1730, quando venne acquisito dal conte Paolo Gaudenzio Bagliotti.
La comunità maggiorese versò regalie feudali alla famiglia fino al 1830 quando, per lascito ereditario, subentrò nel possesso Filippo Ala Ponzoni Visconti Bagliotti.
Nel periodo della dominazione spagnola, Maggiora fece parte del contado di Novara nel comparto borgomanerese. Nel 1552 posta in zona di confine tra Stato sabaudo e lombardo, fu coinvolta nella spedizione dei franco-sabaudi contro gli spagnoli; a dire il vero non si trattò di un fatto d'armi, ma della requisizione degli armenti necessari per il vettovagliamento dei soldati.
Ancora nel 1636, in seguito al tentativo di Vittorio Amedeo eli Savoia di occupare Maggiora, il Comune fu invaso dalle milizie e vennero bruciati gli archivi parrocchiale e comunale. Dal 1736 il dominio spagnolo venne sostituito da quello sabaudo fino al 1798, quando si estese la municipalità francese e Maggiora, in periodo napoleonico, entrò a far parte del dipartimento dell'Agogna nel cantone di Maggiora.
Con il ripristino del regno dei Savoia, il paese venne iscritto nel mandamento di Maggiora in provincia di Novara. Gli abitanti trovarono occupazione in agricoltura e nell'allevamento e, nel XVIII e XIX secolo, nell'estrazione di pregevole argilla e nella conseguente produzione di laterizi in fornaci.
Agli inizi del 1300 Maggiora ancora non esisteva in quanto l’originario nucleo di Muzano con il territorio di Piazo e di Boca costituiva un unico comune.
A Boca dai primi decenni del 1200 era stato edificato un castello che costituiva il caposaldo difensivo della zona. Il territorio, dopo il dominio dei conti di Biandrate, era passato sotto il controllo novarese e stava vivendo un periodo particolarmente cruento per lo scontro fra le fazioni guelfe dei Brusati e dei Cavallazzi e la ghibellina dei Tornielli. In questa lotta nel 1311 venne distrutto il castello di Boca e con esso la stessa comunità.
Infatti "incolae Casalis Municipalis Mazoria, quod extabat in territorio Muzani, factionum causa sese separaverunt ab hominibus Muzani efformantes proprium, et separatum territorium Origo habuit comune Mazoriae, et obliterato nomine Muzani, et Piazii supersunt nunc Comunia Mazoriae et Bochae".
Quindi gli uomini del casale di Maggiora scelsero un territorio distante e s’insediarono con autonomia ammnistrativa.
Maxoria inglobò poi Muzano, perchè lì sorgeva da tempo "vetus capella Sancta Maria" che divenne parrocchiale nel 1436.
La separazione dev’essere avvenuta prima del 6 agosto 1342 perchè, in tale data, i borgomaneresi, al termine di una lite con Rasco e l’occupazione della località Musocco, nell’atto di compravendita annotavano entrambi i toponimi "ad meridie in parte territorium Maxoriae, et a sero territorium illorum de Muzano". Con la vittoria dei Tornielli si estese la signoria dei Visconti.
Nel 1354 Galeazzo Visconti divise il territorio novarese in quattro squadre, Maggiora fece parte di quella del Sesia.
Il tempo delle guerre e delle calamità non era finito: il marchese del Monferrato intraprese una forte azione bellica contro il Visconti assoldando i mercenari inglesi di Alberto Stertz che, nel 1361 da Giugno a Settembre, assediarono le terre del Novarese ed in particolare della squadra del Sesia in cui irruppero depredando, uccidendo, stuprando "uxores in praesentia maritorum, puellas in coram genitoribus".
Il primo paese in elenco annotato fu Maxoria. L’anno successivo sopravvenne il flagello delle cavallette. Nel 1395 Gian Galeazzo divenne duca di Milano; con lui sovrano le sorti di Maggiora e Boca si separarono definitivamente: la prima feudo dei Tornielli e la seconda dei Barbavara.
Fulvia Minazzoli
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Nel 1400 il territorio novarese veniva frazionato in feudi affidati alle famiglie che, per motivi militari e nobiliari, avevano diritto ad esercitare il potere.
Con un diploma di Francesco I Sforza del 20 Ottobre 1449 , Maggiora con Barengo, Briona e Solarolo veniva infeudata a Giovanni Tornielli Lorena. Passò a Guido, a Giò Lodovico, a Giuseppe, a Carlo Gioacchino che divenne marchese di Gerbeviller ereditando il titolo dalla moglie Anna di Chatelet, a Carlo Giuseppe, fino ad Anna Giuseppe con cui il feudo si estinse.
Infatti il 21 Maggio 1728 agli Gerbeviller venne concesso di alienare le terre feudali separatamente; il 22 Giugno 1730 Maggiora fu devoluto alla Regia Camera; il 7 Luglio la Comunità di Maggiora deliberò di acquistarlo a nome proprio o di persone da dichiararsi della stessa comunità; il 12 dello stesso mese venne acquistato dal conte Paolo Gaudenzio Bagliotti di Novara per diciassettemila lire imperiali; il 9 Novembre 1753 veniva consegnato a Giacomo Bagliotti figlio di Paolo e nuovo feudatario. Il 2 Aprile 1754 si stipulavano accordi di amicizia tra il Bagliotti e la Comunità di Maggiora, che s'impegnava a corrispondergli una regalia feudale annua di lire novanta annue di Piemonte contro le centoquarantaquattro imperiali al Gerbevillier.
Nell’0ttobre del 1793 Maggiora era investito da Giacomo Bagliotti che nel 1804, essendo senza figli, lo lasciava al nipote Filippo Visconti Cicere di San Vito il quale, il 13 Aprile 1830, assunse il feudo col nome di Filippo Ala Ponzoni Visconti Cicere Bagliotti di Cremona.
Nel periodo della dominazione spagnola, Maggiora fece parte del Contado di Novara nel comparto di Maggiora.
Nel 1552, posta in zone di confine tra lo Stato Sabaudo e la Lombardia, fu coinvolta nella spedizione dei franco-sabaudi contro gli spagnoli: vennero requisiti gli armenti necessari per il vettovagliamento dei soldati. Nel 1636, in seguito al tentativo di Vittorio Amedeo di Savoia di occupare Maggiora, il Comune fu invaso dalle milizie e vennero bruciati l’archivio parrocchiale e comunale.
Dal 1736 il dominio spagnolo fu sostituito da quello sabaudo fino al 1798, quando si estese la municipaIità napoleonica Maggiora entrò a far parte del Dipartimento dell’Agogna nel cantone di Maggiora. Con il ripristino del regno dei Savoia, il paese venne iscritto nel mandamento di Maggiora.
Fulvia Minazzoli
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In periodo medioevale il territorio di Maggiora era unito a quello di Boca, col cui nome figurava tra le curtis che il 19 Febbraio 840 il vescovo Adalgiso, al tempo dei vescovi-conti, aveva ottenuto dall'imperatore Lotario.
Successivamente il potere dell'autorità temporale e spirituale di Novara dovette fare i conti e cedere terre e privilegi al potere laico dei Biandrate. I Biandrate erano feudatari originari di una stirpe illustre.
L'antenato più famoso e vicino fu Arduino d'Ivrea, che nel 989 era margravio delle marche comitali d'Ivrea, Vercelli, Novara, Ossola, Pombia. Attirando la feudalità laica dalla sua parte contro quella ecclesiastica, divenne diretto avversario dell'imperatore proclamandosi re d'Italia nel 1002 a Pavia.
La lotta contro i vescovi-conti di Novara e Vercelli s'inasprì, provocando l'intervento degli imperatori Ottone III ed Enrico II, e terminò con una sconfitta nel 1014.
Fratello di Arduino era Wiberto, conte di Pombia e signore della Rocca in Valsesia, che continuò l'opposizione all'imperatore fino al 1027, quando Corrado II dava al vescovo novarese Pietro i possedimenti del suddetto feudatario.
Nel 1028 il titolo di conte di Pombia passava al terzo figlio di Wiberto, Guido I, che darà inizio alla stirpe dei Biandrate con Guido II, il quale nel 1070 comperava i castelli in Biandrate ed in Valsesia. Nel 1083 lo stesso Guido donava sedici mansi, tra cui terre presso Rasco, ai monaci di Cluny, mentre Boca rimaneva patrimonio familiare.
Non avendo eredi diretti, nel 1093 gli succedette il nipote Alberto che, coadiuvato da Ardizzone suo cugino, tenne potere in Valsesia, compresa la bassa valle, munita di castelli a scopo difensivo. Per frenare il potere dei Biandrate, alleati con i marchesi del Monferrato, i novaresi, i vercellesi ed i milanesi unirono le loro forze e nel 1167 il castello dei Biandrate venne da loro assediato.
Nel frattempo l'alleanza dei rivali si era consolidata con il matrimonio di Guido il Grande con la figlia del marchese del Monferrato. Le alterne vicende della casata sembravano volgere al peggio nel 1194 quando, con il trattato di Casalino, si ordinava di privare i Biandrate di ogni potere e si divideva tra Novara e Vercelli il territorio a sinistra e a destra del Sesia.
Solo due anni dopo tali disposizioni perdevano di valore però, perchè il 21 Settembre del 1196 l'imperatore Enrico IV con un diploma insigniva i figli di Guido, Uberto e Rainero, dei feudi di Briga, Cureggio, Cavallirio e Briona.
Nel 1202 i Biandrate ritennero necessario sottomettersi a Novara, impegnandosi ad offrirle aiuto militare ed a pagare per le terre di cui era loro consentito il possesso.
Tra i testimoni della convenzione, che concedeva ai Biandrate la feudalità su terreni, mulini ed edifici, c'era anche un " Basgerius" di Boca, a conferma quindi che anche Maggiora era soggetta al dominio comitale. Nel 1209 Ottone IV riconfermava il diploma ai predecessori.
I conti di Biandrate tuttavia, ritenendo gravoso il vassallaggio a Novara, si rivolsero a Vercelli: il 28 Ottobre 1217 Gorzio ed Ottone, figli di Uberto, e Corrado ed Opizzone, figli di Rainero, donarono a Vercelli parte della Valsesia, Grignasco, Boca e " Muzzano", Soriso con tutti gli abitanti e la loro giurisdizione.
In cambio l'autorità vercellese dava loro l'investitura dei feudi suddetti, con la promessa di mai alienarli o infeudarli a persone del Novarese. Nel 1222 - 1223 si ebbe la guerra tra Novara e Vercelli; i territori valsesiani compresa Maggiora rimasero alla seconda sempre infeudati dai Biandrate.
Nel 1248 l'imperatore Federico I confermò il passaggio dell'eredità a Rufino, Guglielmo, Ottone e Gottofredo, figli di Gorzio.nea"> Nel 1257 la guelfa Novara rinunciò a conquistare la Valsesia alla ghibellina Vercelli, a cui i Biandrate resero omaggio per godere continuatamente di diritti feudali; diritti che si suddivisero con la spartizione del territorio agli eredi. Maggiora, inclusa nella zona della Valsesia, toccò al figlio di Rufino. Infatti nel 1257 un "Giacomo di Maggiora" fu tra gli ambasciatori della comunità valsesiana che, a Gozzano, stesero un patto di accordo per la concessione dell'autonomia giuridica, finanziaria ed amministrativa della Valsesia da Novara.
Minazzoli Fulvia
FONTI BIBLIOGRAFICHE:
Con il II secolo d. C. il paesaggio agrario comprendente il territorio di Maggiora venne sottoposto alla centuriazione, cioè alla divisione in centurie di duecento iugeri di venticinque are ciascuno.
Venne tracciato un reticolo ortogonale con orientamento Nord-Sud nel senso dei cardines distanti tra loro dieci actus (metri 35 ca.) e con i decumani a cinque actus uno dall’altro.
I segni della limitatio romana sono rintracciabili nella fascia di campi arabili attraversata dalla via per Maggiora nell’altopiano sopra Cureggio.
L’unità di proprietà terriera era il fundus, di superficie varia, che poteva essere frazionato in due appellandosi maior e minor, superior e inferior; per la conduzione e coltivazione poteva essere ulteriormente diviso divenendo un fundus unità di conduzione costituito da parcelle di terra non confinanti chiamate masseria, colonia, manso.
La masseria era un’azienda rurale diretta da un massaro che sostituiva il padrone nella conduzione dei suoi fundi traendo sostentamento per sè e rendita per il proprietario.
La colonia era l’insieme di terre coltivate dal colono che li gestiva secondo un contratto a mezzadria. Il manso era la quantità di terra che poteva lavorare una famiglia con una coppia di buoi e un aratro.
Nel secolo VI il fundus fu sostituito dal casale, che spesso aveva per confine il fundus, appezzamento suscettibile di frazionamento ulteriore. Nei due secoli successivi, con la venuta dei Longobardi l’ordinamento fondiario venne travolto.
La realtà agraria si costituì di piccole aziende contadine libere o dipendenti da curtis e dalle curtis, cioè grandi aziende agrarie organicamente articolate in terra dominiche a conduzione diretta ed in terre a masserie a conduzione indirette.
Come si e già scritto, nell’800 la curtis di Boca consegnava decime al vescovo, quindi anche Maggiora ad essa unita. Nel secolo X per salvaguardare l’attività economica si procedette all’incastellamento, cioè alla costruzione di fortificazioni a castello nelle vicinanze di un abitato.
Il castello di Montalbano eseguì tale ruolo anche per il nostro territorio, mentre un castello a Maggiora pare venisse eretto intorno al 1450.
Nel XIII secolo le zone rurali o ville facevano riferimento ad un centro abitato con mercato, per il nostro territorio era Borgo San Leonardo di Maggiora. Nel XIII e XIV secolo il paesaggio agrario di Maggiora si componeva di quattro settori distinti: la valle del Sizzone e la fascia collinare prospiciente era zone di piccole vigne, prati e utili boschi , la cui legna serviva a Cureggio; il settore sud dell’altipiano a sinistra della strada per Romagnano era zona di gerbidi e di selve con baragge di difficile dissodamento essendo su base argillosa e utilizzata nell’antichità come cave.
Il settore nord dell’altipiano, a destra della strada per Romagnano, attraversato perpendicolarmente dalla via per Maggiora era zona di arabili e coltura intensive a vigna; la fascia collinare e montuosa ad ovest e nord-ovest di Boca, Soliva e Rasco, occupata da vigne e boschi.
Nel medioevo il torrente Sizzone aveva una buona portata d’acqua, il suo corso presentava meandri ed un lago di deposito alluvionale di ghiaia. Si coltivavano il frumento, il miglio, il panico, l’avena, la spelta, il farro, le rape, le castagne, il lino e la vite.
Le vigne, per difesa dalle greggi dei pascoli circostanti, erano cintate e racchiuse in broli, coltivate a filari distanti tre piedi e mezzo l’uno dall’altro, inframmezzate da olmi e da aceri, da salici e pioppi su terreni umidi.
La viticoltura era largamente praticata per il consumo di uva e vino ed anche per la fornitura della bevanda a scopo religioso.
Nei mulini, lungo il Sizzone, si macinavano i cereali e semi per l’olio, dalle rogge si traeva l’acqua per l’irrigazione dei prati.
Nei boschi abbondavano i fringuelli e non mancavano i lupi.
Gli abitanti , per lo più contadini, vivevano in rustici di legno, canniccio, argilla secca che poi si trasformarono e si solidificarono con pietre e tegole, ad un piano o con solario, con l’intelaiatura di gesso per le aperture e provvisti di camino. La loro vita lavorativa era precisamente scandita dai tempi dell’agricoltura e severamente regolata dai Bandi Campestri.
Fulvia Minazzoli
FONTI BIBLIOGRAFICHE
Con la dominazione spagnola Maggiora era terra del Contado di Novara.
La vita politica, sociale ed economica nell'ambito della comunità era regolata dagli "Ordines Comunitatis Maxoriae" o Bandi Campestri, che consentono di conoscere le leggi peculiari riguardanti una Maggiora autonoma e rurale.
Nel 1561 i Bandi Campestri si componevano di ventitrè articoli che così stabilivano:
1°) Si doveva accusare ogni persona che desse "danno nelli boschi", pena per una cavallata di bosco verde soldi 4, per una "baroza" 8, più soldi due ai campari per ogni infrazione;
2°) Non si doveva ardire di "caricar o far caricare le sue bestie per la campagnia" pena soldi 5 per ogni bestia;
3°) Non si doveva dopo la sera "pascolar ne mandar a pascolar le bestie" pena soldi 5 per bestia e per volta;
4°) Non si doveva "tagliar torte" (bosco verde);
5°) Le persone che portavano a casa lo strame "per il domino di Maggiora non potevano mettere sul barroccio più di "rame" 7 e 3 sul cavallo, in caso contrario la multa sarebbe stata di soldi 8 e di soldi 4;
6°) Non si doveva accusare ogni persona che, venendo a casa, si trovasse nei pressi del "rial del croso de colmo il Sizzone della Troga", a meno che trasportasse bosco verde;
7°) A richiesta "de li consuli" si potevano "estimar li boschi pagando una somma variante da soldi 5 a 9 per staro o pertica";
8°) Si doveva punire chi portava "erbe, foglie et sbreghe di melica" dalla proprietà altrui, pena soldi 5 per "civera";
9°) Se un camparo faceva danno, la "sua pena sia doppia delle predette" e i consoli e i consiglieri lo scoprivano, non s'indagava perchè bastava un loro giuramento; 10°) Il camparo era tenuto a pubblicare i Bandi in tempo preciso;
11°) Il camparo era tenuto ad accusare ogni persona che recava danno;
12°) Il camparo era tenuto a notiificare le persone còlte in flagrante ed il risarcimento dovuto;
13°) Il camparo era tenuto a fare denuncia entro quindici giorni;
14°) Quando il camparo sorprendeva ad "hora di notte" persona che faceva danno incorreva in un raddoppiamento della pena;
15°) Chi rubava da "una uga in suso" pagava soldi 5 per ogni vigna e chi rubava oltre sei noci pagava 1 soldo per ogni noce;
16°) Non si poteva aggirarsi nelle vigne quando le "ughe sono mature", contrariamente era d'obbligo pagare soldi 9 per ogni infrazione;
17°) Le multe andavano al Comune di Maggiora salvo quelle relative alle infrazioni notturne, nel qual caso l'amministrazione le dimezzava con il camparo;
18°) Il camparo era tenuto a esigere le multe, a raddoppiarle e a riscuoterle da "doj mesi in doj mesi";
19°) Non si doveva vendemmiare o far vendemmiare nelle vigne "sino atto non si sarà detto con licenza per li consuli di esso luoco" con la pena di uno scudo per ogni persona che agiva illegalmente;
20°) I consuli erano obbligati ad assegnare ogni anno a ciascun capofamiglia "carreggi di vigna venticinque", da tagliarsi e portarsi a casa nello stesso giorno stabilito dall'amministrazione;
21°) Le persone che "contenderanno con altre il diritto a prendere porzioni assegnate con la conseguenza di male e delitto" erano obbligate a darne notizia ai consoli pagando soldi 10 e relative spese del litigio;
22°) Nel mese di marzo si doveva tagliare il bosco , dopo che era stato diviso in " squadre" e stabilita la porzione di ciascuno;
23°) Non si doveva mandare le bestie a pascolare ma tenerle legate, pena soldi 5 per ogni animale in libertà. (1)
Nel 1582 nuovi Bandi Campestri confermavano ed aggiungevano norme per la vita di comunità.
1°) I consoli e la maggior parte dei consiglieri dovevano essere al corrente del fatto che una persona fosse incaricata del trasporto "facendo firmar per mano di cui sarà a questo deputato", con l'indicazione della data precisa della partenza e del ritorno;
2°) Nei casi "in cui occorreva per benefitio pubblico d'inviar qualche perso na, i consoli e i consiglieri dovevano fare un pubblico avviso in piazza davanti agli uomini; scelto con elezione, il designato doveva svolgere l'incarico e, mancando per "negligentia o malattia" sarebbe stato costretto ad emendare il danno;
3°) Nessuno doveva "stare fora né sopra l'uschio della giesa" quando si celebrava, sotto pena di soldi 20 per "cadun contrafaciente tante volte quante si contrafarà";
4°) Ogni capofamiglia era in obbligo di "mandar qualcheduno alle processioni dei tre giorni prima delle Pentecoste e della Pentecoste stessa, pena il pagamento di soldi 20 per volta;
5°) Si vietava di "pretender alcuna quantità di terreno di detta Comunita" sotto pena di scudi 10 di cui due terzi al Comune di Maggiora e un terzo a Barengo (feudo comune);
6°) I consoli e i reggenti dovevano ritrovarsi in piazza in tempo rapido e, convocati i capi di casa, "dir quanto si proponer et stabilir a benefitio de detto comune", contrariamente ogni amministratore versava soldi 25 a favore della comunità;
7°) I consoli e i consiglieri nell'eleggere i campari dovevan tener conto che fossero persone "da bene et dargli il debito giuramento di exercitar il loro offitio con bona fede e senza frodo", accusando i malfattori senza fare eccezioni per pietà e per parte;
8°) Nella terra di Maggiora non si poteva assolutamente andar né mandar a macinare il grano in altri mulini fuori dal territorio, sotto pena di mezzo scudo "per cotta o conducta";
9°) Allo stesso modo non si poteva cuocere il pane in forni diversi da quello della comunità, pena uno scudo per cottura;
10°) I campari dovevano svolgere le indagini riguardanti coloro che erano accusati entro il termine di otto giorni, l'esposizione precisa dei fatti e il giudizio avveniva in piazza davanti alla maggior parte degli uomini;
11°) I campari dovevano essere avvisati dei danni e dare avviso per la convocazione "doi giorni in ante et presto basterà a bocca";
12°) Non era possibile deviare o modificare il corso delle acque della comunità per mezzo di chiuse senza il permesso dei consoli, dicendo il luogo preciso e il legname usato e pagando "scudi 3 d'oro" oltre alla multa;
13°) Era vietato mettere legna sulle "boxie" o "bose" da aprirle a settembre per evitare acqua fangosa e ancor peggio "grande innondatione et escrescenze d'acqua";
14°) Per chi avesse comprato quantità di bosco "da forestieri che sia in confine del loco de Maxora" non era possibile tagliarlo senza il permesso dei consoli;
15°) Era vietato portare bestiame nelle vigne se non nel tempo della vendemmia, pena mezzo scudo per volta;
16°) Chi era sorpreso a rubare legna nelle fornaci "in banda o fori banda" incorreva nella pena di pagamento di uno scudo d'oro da pagarsi come multa base, che poteva essere raddoppiata con l'asporto della legna e l'aggravarsi del danno;
17°) Le bestie della comunità non potevano andar a pascolare "sopra i beni dei particolari salvo San Michele si la vigilia de Santa Maria de marzo"; come multa erano da pagarsi soldi 10 per ogni bestia;
18°) Chi fosse stato ritrovato a rubare uva nelle vigne altrui incorreva nella pena di soldi 2; se si fosse fatto trovare con "ughe e noci in corbella" la pena sarebbe stata di 1 scudo per ciascuna di cui un terzo sarebbe andato al camparo e due terzi al proprietario della frutta;
19°) Non era possibile prendere più di una certa quantità di legna secca: "4 rame per cavalata e 7 di brugo"; inoltre "i cerri virdi non si tagliano nel piede ma solo si leva la broppa"; pene da 10 a 40 soldi a seconda del mezzo di trasporto;
20°) Coloro che intraprenderanno contese, litigi "o saran causa di delitto" dian notizia o venga data notizia ai consoli in maniera tempestiva e, qualora le persone colpevoli fossero state "matrone, sia tenuto a rispondere il padre per le figliole";
21°) Non era possibile prendere strame sui terreni altrui, pene da 1 scudo a 20 soldi a seconda del mezzo di trasporto;
22°) Non era possibile lasciar pascolare il bestiame sui terreni altrui nè attardarsi a lasciarlo pascolare sul proprio, pena 10 soldi per volta e per danno;
23°) Non era possibile raccogliere "le immondizie de le bestie bovine ni da basto ne' li beni altrui sotto pena cadun civrolo 3 soldi fino, a 3 lire imperiali per barroccio, più 3 lire imperiali per ogni volta ciò fosse successo;
24°) Non era possibile prendere strame sui terreni altrui, la pena raddoppiava se si tagliava erba o "segar e sfogliar sopra quel d'altri";
25°) Non era possibile "segar erba o feno e rigorda" pena soldi 20 per "civera" e 1 scudo per "cavalata", raddoppiata se il furto fosse avvenuto di notte e si fosse trattato di fieno secco;
26°) Non era possibile tagliar rami o parti bosco, la pena aumentava se la persona veniva trovata in possesso di sette "tòrte" a meno che avesse possibilità di dimostrare che non aveva agito nei boschi di Maggiora;
27°) I boschi erano ripartiti tra i particolari per disposizione dei consoli; ciascuno quindi doveva attenersi alle indicazioni e "far bel taglio del bosco et no stirparlo";
28°) Qualora i campari o i loro famigliari fossero stati colpevoli di danni incorrevano nella pena doppia; l'accusa veniva presa in considerazione sotto il giuramento di una persona che avesse superato i quattordici anni;
29°) Era vietato "rompere o far rompere vendemmia" senza la licenza deiconsoli;
30°) I campari con gran diligentia dovevano essere buoni custodi de "le cose di questo comune, potevano quindi applicare pene pecuniarie severe e specifiche a seconda della quantità e modalità dell'infrazione;
31°) I campari erano tenuti a penalizzare i forestieri che recavano danni nel territorio;
32°) Non era possibile in nessun mese lasciar pascolare le capre, contrariamente si doveva pagare due scudi;
33°) I consoli e gli amministratori dovevano agire "co' quella celerità ni alcuna contraditione" in base agli Ordini;
34°) Se i campari trovavano dei forestieri recanti danno con bestie o con altro mezzo e questi opponevano resistenza dovevano avvisare "il sonar della campana";
35°) Se i campari notificavano "li delinquenti" in termine utile per l'emendazione del danno, in modo repentino il Comune si faceva risarcire. (2)
I Bandi Campestri del 1592 fissavano in gran parte le medesime regole stabilite nel 1582 con qualche aggiunta che pare degna di essere citata: a proposito del furto di uva l'ammenda saliva a soldi 5 e di noce soldi 2; se i frutti si ritrovavano in ceste si doveva sborsare 1 scudo, la novità era che tali penalità si estendevano al furto di "pome, fiche, perighe ed altri frutti" e duplicata se il furto avveniva di notte.
Un'altra avvertenza contenuta nell'articolo riguardante i mulini comunali a cui tutti dovevano ricorrere, era quella di concedere agli "heredi di Bernardo Marucho" di portare la farina del loro mulino di Momo (che avevano in gestione) a Maggiora per loro uso, a meno che il "grano fosse nasciuto in questo territorio". (3)
Anche con la dominazione sabauda Maggiora ebbe i suoi Bandi Campestri, redatti il 3 febbraio 1794 ed approvati dal Senato di Torino il 12 settembre 1797.
In essi si nota l'intenzione dell'autorità di salvaguardare il patrimonio boschivo, il cui depauperamento a livello generale impensieriva amministrazioni locali e di Stato.
1°) Per "cadauna bestia pecorina, caprina o simili ritrovatasi dal camparo ne' boschi" soldi 4 di Piemonte, comprese le spese per la registrazione e riscossione;
2°) Per le bestie di persone "forensi" dei paesi circonvicini la multa saliva a lire 8 di P.;
3°) Per ogni persona che per sé o per comando altrui era sorpresa a raccogliere"brugo, foglie o simili, se" a spallone" pagava soldo 8 di P., se con "la soma" di ogni bestia soldi 13;
4°) Per ogni persona che tagliava bosco di qualsiasi specie, di qualità verde o secca e si appropriasse delle "gobe", abbenchè morte o da sé cadute naturalmente in terra, erano lire 2, mentre "i ginepri" erano liberi da prendere purchè da parte dei locali;
5°) Per ogni bestia "pecorina, caprina, porcina" lasciata pascolare nella proprietà altrui la multa era di 4 soldi di P.;
6°) Per ogni bestia di forestiero dei luoghi limitrofi la multa ammontava a lire 3 di P. con risarcimento al padrone del terreno; Le bestie cavalline, mulatine, asinine, bovine, "potevano pascolare nei prati dopo il raccolto di "due erbe", se condotte per mano, legate e custodite per perseverare l'integrità dei seminati e delle piante da frutta; chi contravveniva, sia maggiorese sia forestiero, doveva pagare soldi 8. Qualora il colpevole non si fosse trovato, sarebbe stato lo stesso camparo "per la di lui incuria al supplizio in proprio mediante il di lui rispettivo stipendio" che veniva così decurtato;
7°) "Essendosi sperimentati mali per mezzo di un animale infesto per morso venefico" non era assolutamente consentito che "alcun reggente di casa, locale o estero residente in Maggiora", tenesse più di due pecore, delle eccedenti doveva privarsene entro otto giorni dall'emanazione dei Bandi; nel caso che un forestiero introducesse bestie senza il titolo di pastore doveva pagare lire 3;
8°) Poichè " abitanti esteri e nullatenenti non s'impiegano ad altro che a cinque usurpazioni e latrocinii dissipando i boschi e trafugando di notte tempo qualunque sorta di frutto ne' campi e ne' vigne", si sarebbero sottoposti a pene pecuniarie se colti in fragrante. Per ovviare il danno protratto però i proprietari di case e di terreni dovevano rispondere dell'impotenza dei massari o affittuari o schiavandari poichè, al momento della loro scelta, non si erano accertati per bene della loro capacità di essere responsabili e vigilare sui beni per contratto a loro affidati. (4)
Minazzoli Fulvia
Fonti Archivistiche: ASNO.