Il problema della graduale scomparsa del dialetto maggiorese è stato avvertito da parte di molti maggioresi e si è sentita la necessità di potere conservare questa lingua che, oltre ad essere patrimonio culturale, era il modo di esprimersi dei nostri nonni e dei nostri antenati.
Si è, quindi, ritenuto opportuno studiare questa lingua e scoprirne le regole prima che potesse definitivamente scomparire e non ci fosse più un raccordo con il passato.
Il dialetto è visto come una cultura che potrà arricchire anche la nostra bella lingua italiana che resta sempre mezzo di unione e di comunicazione fra Italiani.
Il dialetto maggiorese appartiene a quel gruppo di dialetti dell’Italia settentrionale chiamati: “gallo – italici” ed è una lingua neolatina.
Ne sono testimonianza alcune parole: ”bönna” (bigoncia) dal gallico “benna”;”drü” ( tenero ),”tri” (trè) di origine celtica ; mar (mare), rösa (rosa), om (uomo) di origine latina.
Il maggiorese è una lingua che risente di francesismi, ha pure termini ed accenti simili al “catalano” e si distingue per la pronuncia dai dialetti dei paesi vicini.
E’ necessaria, per una corretta pronuncia, la conoscenza della “fonologia” che ne cura la pronuncia “ortoepia” e la scrittura “ortografia”.
Essendo una lingua ricca di espressione, ha bisogno per evidenziare tutti i suoni di aggiungere alle lettere dell’alfabeto della lingua italiana altre lettere e segni.
Sezioni
Il Nostro Dialetto - Grammatica
Alfabeto
L'alfabeto è costituito da 28 lettere, sette in più dell'alfabeto italiano:
a, ä, b, c, d, e, ë, f, g, h, i, j, j, k, l, m, n, o, ö, p, q, r, s, t, u, ü, v, z.
Le vocali diventano dieci:
a, ä, e, ë, i, j, o, ö, u, ü.
Il suono delle vocali e consonanti non è uniforme; per una buona scrittura e lettura del maggiorese sarà consigliabile sentire i suoni aperti e chiusi delle vocali che verranno indicati con l'accento.
Accento
Acento grave " è " per suoni aperti. Es: cafè ( caffè), cartèl ( cartello ), bès ( vanga lunga e ricurva ), dòl ( dolo ), sacògia ( tasca ).
Accento acuto " é " per i suoni chiusi. Es: bén ( bene ), déj ( dieci ), bél ( bello ).
La ( a ) di solito non è mai accentata tranne quando è lettera finale di parola tronca come: tacà ( preso o vicino ); oppure quando la parola ha il suono finale prolungato con raddoppiamento della vocale di cui una è accentata. Es. : bügàa ( bucato ).
Suoni particolari delle vocali: Ä, Ö, Ü
" Ä " ( simile al suono nasale inglese " ae " )
Es: campägna ( campana ) per distinguere da campagna ( campagna ); tära ( terra) e non tara.
" Ü " ( suono chiuso ) corrispondente alla ( u ) lombarda-piemontese( ü ) identica alla ( u )francese.
Es: üga ( uva ), bür ( burro ), Füs ( fuso ), mür ( muro ).
" Ö " affine alla " oeu " francese, può essere resa più semplice come nei dialetti lombardi piemontesi con " ö ".
Es: cavössa (cavezza), fajö ( fagiolo ), fiö ( figlio ), tuajö ( tovagliolo ).
Utilizzo della "J "
La " j " vocale si pronuncia come la " i lunga " (come Juventus, )
Es: duja (otre), voja (voglia), preja (pietra), maja (maglia)...
La " j " consonante è simile alla " j francese " per quanto concerne la pronuncia " Jean " e per distinguerla dalla " j " vocale si dovrà contrassegnare con un simbolo " j " (senza puntino ).
Es: fajö (fagiolo), ghjeja (chiesa)...
La" j " vocale è anteposta ai sostantivi plurali, grammaticalmente significa "gli" ( ji ); davanti a vocale viene apostrofata la " j' " .
Es: al javji o ( j'avji ), al jughi o ( j'ughi ), jöimi o ( j'öimi )...
E'utilizzata:
1) come raccordo fra due vocali : (aja), ( eji ), ( eja), ( oja ), (uja).
Es.: gaja (zappa), preji (pietre) , preja (pietra), voja (voglia), duja (otre)...
2) In luogo dell'articolo determinativo (gli) per i sostantivi maschili plurali.
Es.: j'anej (gli anelli), j'ucej (gli uccelli)...
3)Sostituisce pure i pronomi personali davanti agli ausiliari.
Es: j'eru (erano), j'evu (avevano).
4) Il digramma " ji " sostituisce " li, le " ( part.pron. ) alla fine del verbo.
Es.: deghji (dargliele), aveighji (averle), tajeji (tajeji) ( tagliarli )
Utilizzo della " K "
La "K " : sostituisce il digramma " ch " e si utilizza quando si vuole fare sentire maggiormente il suono di parole tronche oppure quando la pronuncia della "c " finale è dura.
Es.: cruk (chioccia), crìk (crìk), crök (sporcizia)...
Es.: sctrak (stanco) in luogo di sctrach.
A differenza della lingua italiana, dove la " c " finale è già dura, nel dialetto si deve necessariamente lasciare la " ch " o più semplicemente la " k " poichè ci sono parole diverse che scritte con la sola " c " avrebbero significati diversi.
Es.:Sctrac (Straccio ) e sctrak (stanco ).
Si è quindi utilizzata la "k " per semplificare e differenziare le parole dove il digramma" ch " finale è lasciato con pronuncia dolce e suono possibilmente palatale.
Es.: tütch (tutti), latch...
La ''k '' sostituisce ancora il digramma" ch " quando nelle parole ci sono due ''c '' consecutive che non significano raddoppiamento;
Es.: sckegna (schiena) in luogo di sc'chegna dove il segno (' ) non ha valore di apostrofo, ma è utilizzato per permettere una buona lettura e di sentire la "sc ".
Altri esempi: busck (bosco), sckatula (scatola), sckerpa (corredo)..
La " ì " ha sempre suono aperto.
Alcuni esempi:
pìga (piega), badìl (badile), pasctìss (pasticcio).
L'apostrofo
L'apostrofo, come nella lingua italiana, consiste nella caduta di una vocale finale di una parola che precede altra parola che inizia per vocale.
Es.: bun'anima (buon'anima), qul'auta (quell'altra).
Ci sono altri casi, nel dialetto maggiorese, che indicano solo la caduta di una vocale se la parola che precede termina per vocale oppure quando indica complementi di stato in o moto a luogo.
Es.: ti 't vegni (tu vieni), in luogo di (ti at vegni); ma 's po' (ma si può)..'nti pej (nei piedi); 'ntal civrö (nel gerlo).
C'è la caduta della vocale iniziale che precede nei verbi due consonanti (nm, ng, nv,rg...)
Es.: 'nmönzèe (incominciare), 'ngrascièe (ingrassare), 'nviarèe (avviare ed anche accendere), 'nsufrèe (soffiare zolfo in polvere)...
Pronuncia digrammi e trigrammi
Le maggiori difficoltà si trovano per la scrittura di parole dove sono presenti dei suoni che non trovano riscontro in nessuna altra lingua e per le quali è necessario creare dei digrammi o trigrammi ( gruppi di consonanti ) che possano per quanto è possibile interpretare o avvicinarsi alla pronuncia esatta.
Per la parola '' Chiesa '', ad esempio, la scrittura in dialetto si potrebbe fare utilizzando i gruppi:" dghj " , " dgj " , "ghj " , " gj " , " dj " ; si possono infatti sentire lievemente: la dentale " d ", la " j ", la gutturale " g " e potrebbe essere presente la " h ", che è priva di suono, ma serve a rendere più duro il suono della " g " con il digramma " gh ".
Non escludendo nessuna possibilità si sceglie il trigramma" ghj " e quindi Chiesa sarà scritta "Ghjeja '.
La pronuncia del gruppo " ghj " si fa rendendo il suono possibilmente palatale - dentale e non gutturale come richiede la pronuncia italiana.
Avremo quindi i gruppi" ghja " , " ghje " , " ghji " , " ghju " che saranno utilizzati per comporre le seguenti parole:ghjara (ghiaia), Ghjeja (Chiesa), furmaghjìn (formaggino), uataghju (andato a male) ......
Analoghi dilemmi insorgono per esprimere parole del tipo: chiodo, torchio....... dove compaiono in dialetto dei gruppi: " tchj ", " ch i " , " chj " essendo presenti lievemente la dentale " t " ed in tono più marcato la gutturale " c ", la " j ".
Per semplicità si sceglie il trigramma"chj" ed avremo quindi le parole: chjò (chiodo), torchju (torchio), lachjàa (residuo del latte lavorato),chjav (chiave).
Si sceglie invece il trigramma"tch" per: fatchja (fatta), sctatchja (stata), tütch (tutti)... ove si sente maggiormente la dentale " t ".
Anche per questi trigrammi si cercherà di rendere il suono palatale-dentale.
Pronuncia " Z "
La" z " nel dialetto maggiorese viene pronunciata in modo diverso dalla lingua italiana (è più dolce); la pronuncia fa sentire un suono misto di " z " ed " s ". alcuni esempi sono: zönevru (ginepro), Zöpìn, Zorzu, Zönandlu...
ELEMENTI DI GRAMMATICA DIALETTALE
Articoli determinativi Articoli indeterminativi
il al un un ,'n
lo al uno nö
la la una una, 'na
i i, j'
gli j', ji
le al
Pronomi personali Preposizioni semplici
io mi di dö, d'
tu ti a a
egli, ella lüi, lei da da
noi niaitch, niauti in 'n
voi viaitch, viauti con 'nsäma, cun
essi, esse luui su sü
per pör
tra tra
Della (D'la) del, dello (dal) dei, degli (di, dghji)
Dalla (Däla, d'la) dal (dal) dai dagli (dai)
Alla (Ala) al, allo (al) ai, agli (ai)
Nella ('ntla) nel, nell ('ntal, 'ntö) nei, negli ('nti)
Con la (Cun la) con lo,col (cun al) coi, con gli (cun i, cu'i)
Sulla (Süla) sul (sül) sui (süi)
Per la (Pör la) per il (pör al) per i (tra i)
Fra la (Fra la) fra il (fra l ') fra i (fra i)
Pronomi relativi
che (che, ch'), il quale (ch'), la quale (ch')
i quali (ch'), le quali (ch'), cui (ch')
Es. ...ch'i favu (...che facevano)
Congiunzioni coordinative
Copulative: e (e), anche (anche), né (ne)
Disgiuntive: o (o)
Avversative: ma (ma), però (pörò), invece ('nveci), eppure (epüra)
Correlative: sia...sia (sia)...(sia), così...come (iscì)... .(cume).
Dichiarative:infatti (önfati), cioè (ciuè)
Conclusive: dunque (duca), pe), dopo (dopu), subito (süttu), spesso (sövens), ieri (jera), oggi (öncöj), domani (duman), presto (präsct), poi (pöi), ora (ädäss), sempre (sempri), mai (mai)
Avverbi di luogo: dove ('ntuqua), qui (chilò), lì (gliò), là (là), davanti (davanti), dietro (däré), su (sü), giù (giü), dentro (dint), fuori (fora), sopra (sura), sotto (sut), lassù (sü là), laggiù (giü là).
Avverbi di modo: bene (bén), male (mal), volentieri (uantej), forte (fort), ginocchioni ('nginutugni), correttamente (sänsa erur), piuttosto (pitösct).
Avverbi di valutazione: sì (sci), no (no), neanche (gniänca), magari (magara), davvero (pör dal bun)
Avverbi interrogativi: quando? (quand?), quanto (quant?) come?(cume?).
Anche gli avverbi possono essere alterati: Es.pianino (börbölìn)
Locuzioni avverbiali
Nottetempo (dö notch). di qua (da chilò), di là (da là), di colpo (dö culp), di nascosto (da sckundù), in fretta ('n präscia), in giù ('n giü), all'improvviso (dö culp), nemmeno per idea (gnianca pör idea), di certo (dö söcur), su per giù (sü pör giü), press'a poco (prös'a pok).
VERBI AUSILIARI
ausiliare essere (sii) ausiliare avere (avei)
(per i tempi composti)
mi sun mi gh' ö (u) ( j' u)
ti t'ej ti t' gh' ài (t' ài) (t'ei)
lüi, lei l'è lüi, lei gh' à (l' à)
niaitch suma niaitch gh' uma (j' uma)
niauti suma niauti gh' uma ( j' uma)
viaitch si viaitch gh' ì (j' ì)
viauti si viauti gh' ì (j' ì)
lui j'in lui gh' àn (j' àn)
Anteposti agli ausiliari ci sono come rafforzativi la " j " e il digramma" gh' " con valore di avverbio: Es.(ti t'gh' ai) con significato letterale di (tu ci hai); per questo motivo non è possibile scrivere (gh'hai), quindi si sceglie la" à " accentata .Es.: (ti t' gh' ài) e cosi sarà per tutte le altre voci.
Le forme dell'ausiliare avere possono essere entrambe usate per comporre il passato prossimo : Es. (gh' u biü) o ( j'u biù) che significano (ho avuto); la seconda forma è utilizzata per comporre i tempi composti dei verbi non ausiliari: ( j'u visct) (ho visto) o ( j'u tacà) ho preso.
Dagli esempi si può capire che il passato prossimo del verbo avere si fa componendo il tempo presente con il participio (biù) (avuto); per ottenere il passato prossimo dell'ausiliare essere si utilizza il participio (sctatch, sctatchjihji):
Es. mi sun sctatch (io sono stato), viauti si sctatchji (voi siete state).
I verbi della prima coniugazione in italiano (2° coniugazione in dialetto) quando sono all'infinito vengono scritti con due "e" finali di cui la penultima con l'accento grave: Es.(fèe, sctèe, dèe...ecc. ); quando sono seguiti da un altro verbo, nome o avverbio può essere omessa l'ultima " e": Es. ( fè gnii, sctè bén, dè sü... ecc. ).
Imperfetto (ausiliare essere) Imperfetto (ausiliare avere)
mi j'era (i gh'era) mi j'eva (i gh'eva)
ti t'eri (t' gh'eri) ti t'evi (t' gh'evi)
lüi(lei) l'era (' l gh'era) lüi(lei) (l'eva ('l gh'eva)
niaitch j'eru (i gh'eru) niaitch j'evu (i gh'evu)
(niauti) " " (niauti) " "
viaitch j'eri (i gh'eri) viaitch j'evi (i gh'evi)
viauti " " viauti " "
lui j'eru (i gh'eru) lui j'evu (i gh'evu)
Anche l'imperfetto degli ausiliari si esprime in due modi.
Non esiste in dialetto la forma del passato remoto (si usa il passato prossimo)
Futuro (ausiliare essere) Futuro ( ausiliare avere)
Mi sarö mi gh'arö (j'..) ti t'sarai ti gh'arai (t'..))
lüi ' l sarà lüi gh'arà (l'..)
lei la sarà lei " "
niaitch sarùma niaitch gh'arùma (j'..)
viauti sarì viauti gh'arì (j'..)
lui saràn lui gh'aràn (j'.)
Congiuntivo presente Congiuntivo presente
(avere) (essere)
ch' j'abbia ch' i sea
ch' t'abbia ch' t' sei
ch' j'abbiuma ch' i seu
ch' j'abbjì ch' i sei
ch' j'abbiu ch ' i seu
Congiuntivo imperfetto Congiuntivo imperfetto
(essere) (avere)
ch' i füsc ch' j' esc
ch' t' füsci ch' t' esci
ch' 'l füsc ch' l' esc
ch' i füsciu ch' j' esciu
ch' i füsci ch' j' esci
ch' i füsciu ch' j' esciu
Condizionale presente Condizionale presente
(ausiliare essere) (ausiliare avere)
i saresc mi j'aresc
ti t'saresci ti t'aresci
lüi al saresc lüi l'aresc
niaitch i saresciu niaitch j'aresciu
viaut i saresci viaitch j'aresci
lui i saresciu lui j'aresciu
Per i tempi composti si utilizzano come già accennato i participi (biü) (avuto) e (sctatch, sctatchji) (stato, state) Nei tempi composti l'ausiliare avere perde il prefisso "av" per cui(avesc)diventa(esc); Es: (che avessi fatto) é: (ch'j'esc fatch)
Gerundio presente Gerundio presente
(essere) (avere)
Send Avend
Participio (essere) Participio (avere)
Presente Passato Presente Passato
Essent Sctatch Avent Biü
In dialetto troviamo due coniugazioni: la prima corrisponde alla prima coniugazione dell'italiano (are), la seconda riassume come desinenze la seconda e la terza dell'italiano (ere), (ire).
Prima coniugazione Seconda e Terza coniugazione
('ndèe) (ée) andare ( vughi ) ( i ) vedere, ( furnii ) (ire)
mi i vach (--) mi i vugh (-- ) furnisc
ti ' t vai ( i ) ti 't vughi ( i ) furnisci
lüi, lei (al),la va ( a ) lüi al vugh (-- ) furnisc
niaitch i' nduma (uma) lei la vugh (-- ) furnisc
niauti i ' nduma (uma) niaitch i vuguma (uma) furniguma
viaitch i 'ndè ( è ) niauti i vuguma (uma) furniguma
viauti i 'ndè ( è ) viaitch i vughì ( ì ) furnighì
lui i van (--) viauti i vughì ( ì ) furnighì lui i vugu ( u ) furnisciu
Particelle pronominali
mi a mö, a m' (a mö jmia, a m' fa)
ti a tö, a t' (a tö jmia, a t'fa)
ci a nö, a n' (a nö jmia, a n'fa)
si a sö, a s' (a sö jmia, a s' fa)
vi a vö, a v' (a vö jmia, a v' parla)
Numeri Cardinali
"unità": uün, düj, tri, quattru, cinq, sesc, sät, ot, nov, dej.
"decine": dej, vint, tränta, quaränta, cinquänta, sösciänta, sötänta, utanta, nuvänta, cent.
"centinaia": cént, dujént, tröjént, quatrucént, Cincént, sesc'cént, sätcent, otcént, novcént
"migliaia": mila (per le migliaia si compone il mille con la decina); Es.: dejmila ( diecimila )
"milione" : miliùn
Numeri ordinali Pronomi indefiniti
Primo Prüm Uno uün
Secondo Söcund Una uügna
Terzo Tärs
Nella stesura di questi elementi grammaticali sono state cercate le corrispondenze con la grammatica italiana e nei limiti del possibile sono stati utilizzati gli stessi criteri.
Per la traduzione dei brani, si è cercato di restarne fedeli alla forma dialettale per facilitare il lettore nella comprensione dei modi di espressione che sono prerogativa del dialetto.
Testi tratti dal Libro ono prerogativa del dialetto. ( N.B. ) I brani sono quindi da considerare traduzioni letterali del dialetto e non racconti in forma italiana che ovviamente è priva di alcuni modi di espressione dialettali.
Attilio Marucco
Dialetto
Al "Söcriscta"
Qula da Magiura l'è gent da ghjeja, bascta dìi ch'i n' àn fatch sü ben sesc: Santös Spirt, Sant 'Antonghju, Santa Cruj, San Rok, Madòna Duluràa e Muciäj.
E j'àn mia scprivà: j'àn traj sü lun-ghi e larghi cume baragi, divusiùn an tal cor e bursìn an män pör fesi pördunèe i pöcai che, miracüli j' eru bén tantch.
I lauravu pörò a sundgia 'd gumbiu cuminciant dal " Söcriscta che, cun tüt qul casament, gh'eva mia tant da bacilèe.
A'nmönsava la matìn bun'ura a fèe Sant Peru cun al chiavùn: daurìi la büsciula, tirèe al cainac e dìi gli urasiùgni che pör la sctraa l'eva già 'nmönsà. Süttu a pisèe i chjiar sü l'altar magiur caminant börbölin börbölìn pör mia döscturbèe al Signur, bütèe giù la tuaja che 'l dì prüma l'era statchia bügandàa e pöi 'n sacrösctia a visèe la cota döscpigàa, 'mpii d'aua e dö vin j' urzöj, deghi 'na pasàa al candlèe pör felu gnii pusè lüsctru.
Al temp al pasava e 'l doni gnevu dint sempri pusè tanti, a s'söntigheva dal socli e dal litanii; pör söcürisi al guardava foo e, cume sempri, la Carlota 'ntal prüm bank la guardava 'n darè pör vughi chi gneva dint; la Maria, cun la curugna 'nt una män e al fasulät 'nt l'auta, prögava e la piangeva; la 'Ngiulina l'era 'n ginutugni davanti la Madona dal Rusariu; la sciura Fasola, 'nzurnia cün al sö gran vel grij, l'era sötàa giù 'ntal sö bank; Pinìn eGiuana, brav matalötti sül bancötti, i ciüpavu la buca, pör mia ghignèe fort.
Al Söcriscta al sunajava la fäscta, tutch i dì l'era la medesima sctoria, e pönsèe che mumenti a s' döscmangava da tiresi foo al giachè e butèe su la väscta negra, ghjusct 'n temp prüma da vüglu gni dint e dighi: " bundì sciur Arsiprät ".
Parlumnu mia quand j' eru sut al fäscti, al pouru Söcriscta l'eva da fesi 'n tri: fèe giù la puuri da pör tüt, tachèe sü i drap sü i pilasctri, pulìi al candeli d'la lanigna e butèji ben dritchi uügna 'npara dl'auta, tirèe foo i candlei, al cartiglorii e i vaj pör i altar dal capäli, pürtèe al mössal dö völùt rus, visèe l'incens dint 'nt al turibulu e al baldachìn pör la pröscisciùn.
Tutch i dì gh'n'era pör sctèe dre a tutch qüi ch'i gnevu pör ghjeja : qüi d'la " Cumpagnia d'Santa Marta " vösctij dö blö, qüi dal " Santissimu Sacrament " cun i parament biank, i mataj ch'i favu un burdal prüma da 'nmönsèe la dutrigna.
I frustej pöi lu tögnevu 'n ausaräla pörquè al seva mia qua i vuresciu: i caritugni i mandava 'ntal previ pör la limosna, pör i caminant al chjamava al campèe, ma, pör qüi ch'i scbörlughjavu dint e foo, al pudeva fèe ma 'na roba: döjmötti e pürteji a vughi scküröö cüntant qüsct e qul dö Sant 'Agapitu.
Alura scì j 'eru cuntentch!
Italiano
Il "Sacrista"
Quella di Maggiora era gente di chiesa, basta dire che ne hanno fatte su ben sei: Santo Spirito, Sant'Antonio, Santa Croce, San Rocco, la Madonna Addolorata e Muciano.
E non hanno risparmiato: le hanno elevate lunghe e larghe come "baragge", devozione nel cuore e borsellino in mano per farsi perdonare i peccati che, forse erano ben tanti.
Lavoravano però con "olio di gomito" incominciando dal Sacrista che, con tutto quel casamento, non aveva tanto da esitare.
Incominciava al mattino di buonora a fare San Pietro con il chiavone: aprire la bussola, tirare il catenaccio e dire le orazioni che aveva già iniziato per strada. Subito ad accendere le luci sull'altare maggiore camminando pianino pianino per non disturbare il Signore , mettere giù la tovaglia che il giorno precedente era stata messa in bucato e poi in sacrestia a preparare la cotta spiegata, riempire di vino le ampolle, dare una passata al candeliere per farlo diventare più lucido.
Il tempo passava e le donne entravano sempre più numerose, si sentivano delle zoccole e delle litanie; per assicurarsi guardava fuori e, come sempre, la Carlotta nel primo banco guardava indietro per vedere chi entrava; la Maria, con la corona in una mano e il fazzoletto nell'altra, pregava e piangeva; l'Angiolina era in ginocchio davanti alla Madonna del rosario; la signora Fasola ingioiellata con il suo grande velo grigio, era seduta giù nel suo banco; Giuseppino e Giovanna bravi bambini sulle panchine, chiudevano la bocca per non ridere forte.
Il Sacrista suonava alla festa, tutti i giorni era la medesima storia, e pensare che a momenti si dimenticava di togliersi la giacca e mettere su la veste nera, giusto in tempo prima di vederlo entrare e dirgli: " Buongiorno signor Arciprete ".
Non parliamone quando eravamo sotto le feste, il povero Sacrista doveva farsi in tre: fare la polvere dappertutto, appendere i drappi su i pilastri, pulire le candele dalla lanina e metterle ben diritte una vicina all'altra, tirare fuori i candelieri, le carteglorie e i vasi per gli altari delle cappelle, portare il messale di velluto rosso, preparare l'incenso dentro il turibolo e il baldacchino per la processione.
Tutti i giorni ce n'era per seguire tutti quei che venivano in chiesa: quelli della " Compagnia di Santa Marta " vestiti di blu, quelli del " Santissimo Sacramento " con i paramenti bianchi, i ragazzi che facevano baccano prima d'iniziare dottrina.
I forestieri poi lo tenevano in sospeso perché non sapeva quello che volevano: gli accattoni li mandava dal parroco per l'elemosina, per i viandanti chiamava la guardia campestre, ma, per quelli che guardavano dentro e fuori, poteva fare solo una cosa: smettere e portarli a vedere lo scurolo contando questo e quello di Sant'Agapito.
Allora sì erano contenti!
Paroli | Parole | Verb | Verbi |
---|---|---|---|
Früsctej | Forestieri | Sctèe dre | Seguire |
Caritùgni | Accattoni | Tachè sü | Appendere |
Pilasctru | Pilastro | Visèe | Avvisare |
Limosna | Elemosina | Pulii | Pulire |
Sckürö | Scurolo | Mandre | Mandare |
Väscta | Veste | Tegni | Tenere |
Giachè | Giacca | Duèi | Dovere |
Völùt | Velluto | Dii | Dire |
Mössal | Messale | Cüntèe | Contare |
Cartiglorii | Carteglorie | Pudèj | Potere |
Lanigna | Lanina | Döjmötti | Smettere |
Muciäj | Muciano | Pröghèe | Pregare |
Divusiùn | Devozione | Piangi | Piangere |
Bursìn | Borsellino | 'Nginutesi | Inginocchiarsi |
Pöcai | Peccati | 'Nzurnisi | Adornarsi |
Sungia | Olio di | Sötesi | Sedersi |
d' gumbiu | gomito | Ciüpèe | Chiudere |
Söcrista | Sacrista | Ghignèe | Ridere |
Casament | Caseggiato | Sunajèe | Suonare |
Süttu | Subito | Döscmanghesi | Dimenticarsi |
Chjavùn | Chiavone | Vughi | Vedere |
Cainac | Catenaccio | Sbörlughjèe | Sbirciare |
Büsciula | Bussola | Söcurisi | Assicurarsi |
Urasiùgni | Orazioni | Döscpighèe | Spiegare |
Chjar | Luce | Bacilèe | Esitare |
Börbölìn | Pianino | Scprivèe | Risparmiare |
Tuaja | Tovaglia | Bütèe sü | Indossare |
Urzöj | Bottigliette | Tirèe fora | Togliere |
Incens | Incenso | ||
Turibulu | Turibolo | ||
Candlèe | Candelabro | ||
Lüsctru | Lucido | ||
Baldachìn | Baldacchino | ||
Pröscisciùn | Processione | ||
Litanii | Litanie | ||
Burdal | Baccano | ||
Sctoria | Storia | ||
Dutrigna | Dottrina | ||
Puuri | Polvere | ||
'N ausaräla | In sospeso |
Dialetto
La fede di Magiures
Chi ven Magiura e al ghjira al paìs a s' rend süttü cünt d' la devusiùn e d'la fede di veghji Magiures guardant al suui bäl ghjeji.
Gnent da Burbanée a s ' vügh süttü la ghjeja d' Sant 'Antonghju cun la sö bäla faciàa e tantch i pensu ch'a sea la ghjeja granda.
An luntananza sura al caij a vansa fora al campanìn riva la ghjeja d'S.Scpirt; 'ndant giù pör la via dal Prèvi 'nver al cimiteru i truuma al ghjeji d'Santa Cruj e dl'Aduluràa.
Al cimiteru i truùma la ghjeja d'Santa Maria d' Muciäj ch' l' è qula pisè vaghja e al furnaj al gh' è la ghiöjötta d'San Rok.
Quant laur, quant preji, quant tatch; i mönavu tüt sura dal Ciciùn cun al carötùn: sasc, ghjara e sabbia. Adas i fuma fadiga a mantegnnii 'n pej e röstuma 'ncantaij dö tüti sct' bäl cüstrusiùgni.
I pudùma pörò dii ch' l'era 'na "roba viva" pörchè cun la fede i gh' eru anche a gl' operi.
Tüti al doni i gh' evu al Rusariu 'n sacogia e i s' vüghevu pröghèe caminant cun scpala al civrö o la civera.
Öncöj i suma sempri dö prascia, un bot i ' ndavu tutch pianìn sü straij e quant i pasavu riva al capäli i gh' evu temp guardèe i Sant, al Signur e la Madona; i favu un Sägn, dighevu 'n urasiùn e truavu la paj d' la ghjurnàa e al curaghju pör fèe tütch i laùr.
Tanti famigli prüma da 'ndèe drumìi i dighevu al Rusariu e surtüt pör i Sant: ditchji gli urasiùgni i manghjavu duu castögnni bruaj e i lasciavu a scpoji sül taulu pör a gl'animi.
Pör al fäscti grandi la ghjeja l'era pigna e la Mössa la gneva cantàa än latìn d' la" Sckola Cantorum"; dopu i väscpri i favu la pröscisciùn 'n tur al paìs cantànt e prögant.
Pör Natal e Pasqua i gh' eru al rapprösöntasiugni sacri dal Pascturäli e dal Vandri Sant.
Tantch j' in sctatch j' at dö fede ' ntal pasà e s' podu mia cünteji tütch; tantch j' in sctatch j' at dö carità e i pisè beij in qüi ch' j' àn fatch an söcrat e che ma 'scti poik veghji ch' a rösta i pudaran cünteni.
Italiano
La fede dei Maggioresi
Chi viene a Maggiora e gira il paese, si rende subito conto della devozione e della fede dei vecchi Maggioresi guardando le sue belle chiese.
Venendo da Borgomanero, si vede subito la chiesa di Sant'Antonio con la sua bella facciata e tanti immaginano che sia la chiesa parrocchiale.
In lontananza sopra le case fuoriesce il campanile vicino alla chiesa della parrocchia. Scendendo per la strada del Parroco, verso il cimitero, troviamo le chiese di Santa e Croce e dell'Addolorata.
Al cimitero troviamo la chiesa di Santa Maria di Muciano che è quella più antica e alle fornaci c'è la chiesetta di San Rocco.
Quanto lavoro, quante pietre, quanti tetti! portavano tutto su dal Sizzone con il carro: sassi ghiaia e sabbia.
Ora facciamo fatica a mantenerle in piedi e restiamo incantati per tutte queste belle costruzioni.
Possiamo però dire che era " una cosa viva" perché con la fede c'erano anche le opere. Tutte le donne avevano il Rosario in tasca e si vedevano pregare camminando con in spalla il gerlo o la "civera".
Oggi abbiamo sempre fretta; una volta andavano tutti pianino sulle strade e, quando passavano vicino alle cappelle, avevano tempo per guardare i Santi, il Signore e la Madonna; facevano un segno, dicevano un' orazione e trovavano la pace del giorno e il coraggio per fare tutti i lavori.
Tante famiglie prima di andare a dormire recitavano il Rosario e soprattutto per i Santi: dette le orazioni, mangiavano due castagne lesse e lasciavano le bucce sul tavolo per le anime.
Per le feste solenni la chiesa era piena e la Messa veniva cantata in latino dalla "Scuola Cantorum"; dopo i vespri facevano la processione intorno al paese cantando e pregando.
Per Natale e Pasqua c'erano le rappresentazioni sacre delle Pastorelle e del Venerdì Santo. Tanti sono stati gli atti di fede nel passato e non si possono contare tutti; tanti sono stati gli atti di carità e i più belli sono quelli che hanno fatto in segreto e che solo questi pochi anziani che rimangono potranno raccontarci.
Marucco Attilio
Paroli | Parole | Verb | Verbi |
---|---|---|---|
Faciàa | Facciata | Ghjrèe | Girare |
Ghjeja granda | Chiesa parrocchiale | Vansèe | Avanzare |
D'Muciäj | Di Muzzano | Mönèe sü | Portare su |
Tatch | Tetti | Pudéi | Potere |
Furnaj | Fornaci | Pröghèe | Pregare |
Ghjara | Ghiaia | Cantèe | Cantare |
Sasc | Sassi | ||
'Ncantài | Incantati | ||
Sct'bäl | Queste belle | ||
Custrusiùgni | Costruzioni | ||
Roba viva | Cosa viva | ||
Sägn | Segno | ||
Paj | Pace | ||
Ghjurnàa | Giornata | ||
Curaghju | Coraggio | ||
Scpoji | Bucce | ||
Pigna | Piena | ||
Söcrat | Segreto |
Dialetto
Al "pascturäli"
Quant i nösct antönai j' àn fundà e cusctruì Magiura già j' evu capì che qül trei cuntraij, via Marconi, via Don Minzoni, e via Gattik, un dì i saresciu sctatchji al trei straij di tri re Magi.
L' e' la "Pifanìa"sül tacquìn; ma pör Magiura l' era la " Fäscta dal Pascturali", e da ogni cuntràa un re Magiu al gneva riva a la meta, a la piasa d' la ghjeja.
Palüdai ' nti söi regal vösctii, al grand mant dö völut e la curugna ' n täscta i vansavu dritch süi söi cavaj dal curugi lüsctri e j' uttùn lüjent.
Rivavu puntual a l' appuntament cume tramandà dal Sacri Scrittüri; e gliò pör aria sura d' lui la sctäla cumeta l' era prunta a musctreghi al camìn.
Un fil d' acciar al partigheva d ' la ca dal Nildu Basctaroli, al rivava al fönösctrùn 'n mez la faciàa d' la ghjeja e da dint al cuntinuava fin a la gabana pugiàa sül piän süt la balaüsctra dl' altar.
I Magi rivai a l' appuntament, dighevu al paroli sempri rpurtai dal Sacri Sckrittüri, gnevu giù di cavaj e ' nda vu dre la sctela tacà sü sül cügiäli e tirà cun un fil da un manuvratùr pusctà sül curnijùn dre d' la fönasctra.
Alura quscta pian pian la travörsava la piasa la ' ndava dint ' n ghjeja e la ' ndava förmèsi sü la cabana.
I Magi ' ndanghi dre, j' evu fatch la stràa ghjüscta e truè al Bambìn da durèe. Fora sül sagrà i pasctùr e al pascturäli.
Un bot al gh'era anche qül pasctùr giuunu da Fugnan cul suu päuri e l' asu, sü la sö sckegna al gh' eva butà la bisacia cun 'na sacogia pör part e da quscta a vansava fora la tösctigna dö düi 'gnöligni.
A sarava la rappresentasiun al lung döscurs dal Gelindu, al cap di pasctùr; 'na mösckjüranda d' taglian, piemuntes e magiures. 'Na roba fantasctica.
Magara quaid'ün o tantch j'evu capì ben pok dö qul ch' j' evu ditch. Ma l'era 'na bäla fäscta.
Italiano
Le "Pastorelle"
Quando i nostri antenati hanno fondato e costruito Maggiora, già avevano capito che quelle tre contrade, via Marconi, via Don Minzoni, e via Gattico, un giorno sarebbero state le strade dei tre re Magi.
E' l'Epifania sul calendario; ma per Maggiora era la " Festa delle Pastorelle", e da ognuna delle tre contrade un re Magio si avvicinava alla meta, alla piazza della chiesa.
Paludati nei loro regali vestiti, il gran manto di velluto e la corona in testa avanzavano impettiti sui loro destrieri dalle cinture lucide e gli ottoni lucenti.
Arrivavano puntuali all'appuntamento come tramandato dalle Sacre Scritture; e lì in alto sopra di loro la stella cometa era pronta ad indicare loro il cammino.
Un filo di acciaio partiva dalla casa del Nildo Bastaroli, arrivava al finestrone in mezzo alla facciata della chiesa e all'interno continuava fino alla capanna posta sul piano sottostante la balaustra dell'altare.
I Magi, arrivati all'appuntamento pronunciavano le parole sempre riportate dalle Sacre Scritture, scendevano dai cavalli e seguivano la stella appesa su carrucole e tirata per mezzo di un filo da un manovratore appostato sul cornicione dietro la finestra.
Allora questa, adagio, adagio attraversava la piazza, entrava in chiesa e andava a fermarsi sulla capanna.
I Magi, seguendola, avevano percorso la strada giusta e trovato il Bambino da adorare.
Fuori sul sagrato i pastori e le pastorelle. Una volta partecipò quel giovane pastore di Fognano col suo gruppetto di pecore e l'asino, sulla groppa di questo aveva gettato la bisaccia con una tasca per parte dalla quale spuntava la testolina di due piccoli agnellini.
Chiudeva la rappresentazione il lungo discorso del Gelindo, il capo dei pastori; un poutpourrj di italiano, piemontese e maggiorese. Una cosa fantastica. Magari qualcuno o tanti avevano capito ben poco di quanto aveva detto. Ma era una bella festa.
Dai ricordi di Giacomino De Vittor
Paroli | Parole | Verb | Verbi |
---|---|---|---|
Pascturäli | Pastorelle | Capìi | Capire |
Cuntraij | Contrade | Vansèe | Avanzare |
Pifanìa | Epifania | Musctrèe | Insegnare |
Tacquìn | Calendario | Travörsèe | Attraversare |
Curugia | Cintura | 'Ndèe dint | Andare dentro |
Fönösctrùn | Finestrone | Förmesi | Fermarsi |
Balaüstra | Balaustra | Durèe | Adorare |
Sctela | Stella | Vansèe fora | Fuoruscire |
Curnijùn | Cornicione | ||
Pasctùr | Pastore | ||
Päuri | Pecore | ||
Asu | Asino | ||
Sckegna | Schiena | ||
Bisacia | Bisaccia | ||
Sacogia | Tasca | ||
Gnöligni | Agnellini | ||
Tösctigna | Testina | ||
Gabana | Capanna | ||
Fugnan | Fognano | ||
Mösckjüranda | Mescolanza |
Dialetto
Qul bél Natal d'un bot
Qul bél Natal d'un bot l'era sempri biank cun la fioca düra e i ghjaciöi, i santej sckavai dritch fen la Ghjeja.
E a mäsa notch tutch 'n fila uün dre l'aut cume furmighi, pigni dö fratch sö 'ndava a Mössa sctrüjant dré i pej 'n tö qul grevi socli dö lägn.
An ven ön ment la Ghjeja cun tuti qul candeli visckai e al doni ch'i 'ntunavu i cor: la Maria d'la Ritin, la Maria Jaumötta e la Carulinùn.
Ca pöi nö scpötchjava al bél caudìn dal tok dö lägn ch'al brujava tüta la notch pör sckaudèe al Bambìn Sant e 'ntl'aria l'uduu dal dijnèe già cotch prunt pör al dì dö fascta.
E la sctregna, i v' la 'rgurdè la sctregna? Trei nuji, trei nicioli e 'l Bambìn l'era bäla che pasà.
Ah! Qul Natal d'un bot, pouru ma tantu bél, cui vedri panaj e al fök 'ntal camìn e al causi dö lägna e giölugni 'ntal mägni.
Italiano
Quel bel Natale di una volta
Quel bel Natale di una volta era sempre bianco con la neve dura e il ghiaccio, i sentieri scavati diritti sino alla Chiesa.
E a mezza notte tutti in fila uno dietro l'altro come formiche, infreddolite si andava a Messa strisciando i piedi in quei pesanti zoccoli di legno.
Mi viene in mente la Chiesa con tutte quelle candele accese e le donne che intonavano il coro: la Maria della Ritin, la Maria Jaumötta e la Carulinun.
A casa poi ci aspettava il bel caldo del pezzo di legno che bruciava tutta la notte per scaldare il Bambino Santo e nell'aria l'odore del pranzo già cotto preparato per il giorno di festa.
E la strenna, ve la ricordate la strenna? Tre noci, tre nocciole e il giorno di Natale era già passato.
Ah! Quel Natale di una volta, povero ma tanto bello, con i vetri appannati e il fuoco nel camino e le calze di lana e i geloni nelle mani.
Kiko - Macri
Paroli | Parole | Paroli | Parole |
---|---|---|---|
Bot | Volta | Giölugni | Geloni |
Fioca | Neve | Lägna | Lana |
Ghjaciöi | Ghiaccioli | Fök | Fuoco |
Furmighi | Formiche | Mägni | Mani |
Fratch | Freddo | Panaj | Appannati |
Pej | Piedi | Nicioli | Nocciole |
Socli | Zoccole | Sctrüjè | Strisciare |
Uduu | Odore | Sckavèe | Scavare |
Dijnèe | Pranzo | Visckèe | Accendere |
Nuji | Noci | Sckaudèe | Scaldare |
Dialetto
L'opera d'Sant Visent
J'eru gliò 'ntur a don Pavesi 'ntla salötta d'la San Visent, tüti al duminichi dopu mössa. Prüma dö tüt a s'digheva 'na pita urasiùn dö ringrasiament, pöi al timùn dal biruncìn cun al querchju dö lamèra e al roi d'una biciclèta sö 'nmönzava al ghjir dal paìs.
'Ntal casciùn eru sctatch bütaj tantch sacötigni quantch eru j'assisctij, ch'i evu truà già prunt, visaj da magni prömurusi e caritateuli, süi tauli 'ntur al trei müraji: pan, farigna, pascta, legüm, la presa dal sal, la sckatula di fochi, la buteglia dl'oliu... tüt qul 'nsuma ch'al pudeva basctèe, a qüi temp, a qüi puureit che niaitch i 'ndavu a truèe, pör pasèe 'na scmägna süt l'ala d'la Divina Pruidensa.
Paroli pouri quli dö don Pavesi. Paroli semplici 'ntla prununcia ma paroli grandi 'ntal sensu che vurevu dii.
E grand eru i ghjinarus magiures che dö solitu an söcrat riüscivu, cun tüti al difficultai d'la famiglia, a fèe rivèe 'ntla sede d'la S.Visent tüt qul ch'a gh' 'ndava che, duminica dopu duminica, gn'eva datch ai bösugnùs dal paìs.
Al me ascisctì pröförì l'era al " Ghjüliu masaria".
Fin a pok temp prüma l' eva fatch al furnèe dal "Funsùn" al nonu dal "Funsetu Colombo"; pöi qusct l'eva sarà sü fur e butèa e al Ghjüliu al viveva cume al pudeva jutand un po' chilò e un po'là; a sctava 'n duu sctansi là 'ntla ca' dl'Endi Poggia.
Sül balùu dö lägn davanti a sctansi, dopu al racòlt, al bütava söchèe di fajulùgni dö Scpagna gros pusè che un diùn.
L'era mia propriu da Magiura..ma un gran brav om.
Al cüntava tüt d'la sö vita d' furnèe 'ntant ch' a s' lasciava cun curaghju rasèe ogni duminica la barba.
E al barbée era mi...mi che quaji quaji i fava gnianca la mea barba! Pouru Ghjüliu: I bütava sckaudèe sül fök un pignatìn d'aua, dopu 'na lunga 'nsaunadüra pör fèe gnii muljìn qüi pel ch'i scmiavu scpigni tant eru dür.
Dopu, un culp dö sckua e sctrac. E iscì a s'à cuntinuà fen quand la "Ca Mari d'Diu " l'è gnua 'na realtà; abilment dirigiua d'la noscta Maria " Murötugna".
L'è al sc'ren röfughju di bösugnus d'assisctensa e dal cüri necessari pör rivèe cuntentch al traguard dl'a fin.
Italiano
L'opera di San Vincenzo
Eravamo lì attorno a don Pavesi nella saletta della S.Vincenzo, tutte le domeniche dopo la messa. Innanzi tutto si rivolgeva una preghierina di ringraziamento, poi al timone del furgoncino col coperchio di lamiera e le ruote di una bicicletta si iniziava il giro del paese.
Nel cassone erano stati riposti tanti sacchetti quanti erano gli assistiti, che avevamo trovato già pronti, preparati da mani premurose e caritatevoli sui tavoli attorno alle tre pareti: pane, farina, pasta, legumi, la presa del sale, la scatola dei fiammiferi, la bottiglietta dell'olio...tutto quello insomma che poteva bastare, a quei tempi, a quei poveretti che noi andavamo a trovare, per passare una settimana sotto l'ala della Divina Provvidenza.
Parole povere quelle di don Pavesi. Parole semplici nella pronuncia ma parole grandi nel significato profondo che esprimevano.
E grandi erano i generosi Maggioresi che generalmente sotto l'anonimato più stretto riuscivano, malgrado tutte le ristrettezze familiari a far giungere nella sede della S.Vincenzo tutto il necessario che, domenica dopo domenica, veniva distribuito ai bisognosi del paese.
Il mio assistito preferito era il "Giüliu masaria".
Fino a poco tempo prima aveva fatto il fornaio dal " Funsùn" il nonno del " Funsetu Colombo "; poi questi aveva chiuso forno e bottega e il Giüliu viveva come poteva aiutando un po' qui un po' là; abitava in due camere là nella casa dell'Endi Poggia.
Sul "baluu"di legno davanti alle stanze, dopo il raccolto, metteva a seccare certi fagioloni di Spagna grossi più di un pollice.
Non era proprio un maggiorino puro sangue... ma un gran brav'uomo.
Raccontava tutto della sua vita di fornaio mentre si sottoponeva con coraggio alla rasatura rituale settimanale della barba.
E il barbiere ero io ...io che quasi quasi non facevo quasi neanche la mia barba! Povero Giulio: mettevo a scaldare sul fuoco un pentolino d'acqua, poi una lunga accurata insaponatura per ammorbidire quei peli che sembravano spine tanto erano duri.
Dopo, un colpo di scopa e straccio. E così si continuò fino a quando la "Casa Madre di DIO " non divenne realtà; abilmente diretta dalla nostra "Maria Murötugna".
E' il sereno rifugio dei bisognosi di assistenza e delle cure necessarie per arrivare in letizia al traguardo finale.
Dai ricordi di Giacomino De Vittor
Paroli | Parole | Paroli | Parole |
---|---|---|---|
Gliò | Lì | Scpagna | Spagna |
Duminica | Domenica | Om | Uomo |
Mössa | Messa | Curaghju | Coraggio |
Visent | Vincenzo | Barbée | Barbiere |
Urasiùn | Preghiera | Pignatìn | Pentolino |
Casciùn | Cassone | Pel | Pelo |
Timùn | Timone | Scpigna | Spina |
Lamèra | Lamiera | Sckua | Scopa |
Sacät | Sacchetto | Sctrac | Straccio |
Assisctì | Assistito | Taulu | Tavolo |
Pän | Pane | Verb | Verbi |
Farigna | Farina | Visèe | Preparare |
Pascta | Pasta | Sckiisèe | Bastare |
Legùm | Legume | Fèe rivèe | Far giungere |
Presa dal sal | Presa del sale | Sarèe sü | Chiudere |
Focu | Fiammifero | Vivi | Vivere |
Oliü | Olio | Jutèe | Aiutare |
Puurìn | Poverino | Söchèe | Seccare |
Scmägna | Settimana | Cüntèe | Raccontare |
Pruidensa | Provvidenza | Rasèe | Radere |
Ghjinarus | Generoso | 'Nsaunèe | Insaponare |
Furnèe | Fornaio | Scmièe | Sembrare |
Balùu | Pontile | Sckaudèe | Scaldare |
Fasjulùgni | Fagioloni | Cuntinuèe | Continuare |
Diùn | Pollice | Dirìgi | Dirigere |
Dialetto
Divusiùn e campagna
Un bot la gent l'era devota pör dal bun. Tacùma pör ajempiu al "rugasiùgni".
A la matìn bunura, l'era 'ncu notch, la pröscisciùn la partigheva d'la ghjeja : l'arsiprät davanti cun i cutinait ch' i 'ndavu dre cul turibulu e al söghjölìn dl'aua Santa, da dre tutch j' aut salmudiant e cantand al litanii di Sant.
E sö 'ndava 'n campagna 'na matìn vers la Balma; pöi la Marta, e pöi 'nti posct 'ntuqua a s' pudéva vughi 'nvers al vigni: Portuli, i Möit, al Capäli o giü a la Baragiola, San Giuan, Nurbeij.
Un dì chilò, un aut là a pröghèe, a banadìi, a chjamèe la prutösiùn süi racòlt.
Italiano
Devozioni e campagna
Una volta la gente era veramente devota.
Prendiamo per esempio le rogazioni. Alla mattina presto, era ancora notte, la processione partiva dalla chiesa: l'arciprete in testa con i chierichetti che seguivano con il turibolo e il secchiello dell'acqua santa, dietro tutti gli altri salmodiando e cantando le litanie dei Santi.
E si andava in campagna una mattina verso la Balma, poi alla Marta, quindi nei punti in cui lo sguardo poteva spaziare verso le vigne: "Portule", i Motti, o le Cappelle o giù alla Baraggiola, San Giovanni, Norbello.
Un giorno qui, un giorno là a pregare, a benedire, a implorare la protezione sulle campagne, sui raccolti.
Dai ricordi di Giacomino De Vittor
Paroli | Parole | Verb | Verbi |
---|---|---|---|
Rügasiùgni | Rogazioni | Tachèe | Prendere |
Notch | Notte | Partìi | Partire |
Cutinat | Chierichetto | Salmudiand | Salmodiando |
Turibulu | Turibolo | 'Ndèe | Andare |
Söghjölìn | Secchiellino | Banadìi | Benedire |
Litanii | Litanie | ||
'Ntuqua | Dove | ||
Racòlt | Raccolti | ||
Aua Santa | Acqua Santa |
Dialetto
Al vigni
Quarant agn fa i gh'eru tant vigni a Magiura, adäs a gh'n'è bäla più.
Si 'ndè sü pör al Capäli o al möt dal Cerchju i vughì tant beij mureit dö sasc ch'i tögnevu sü la ghjara dal topji.
Quant laùr j' àn fatch i veghji 'ntla vigna! adäs l'è quaji tüt busckinà e jerbiu.
Pör fèe frutèe la vigna a gh' 'ndava scteghi dre: puèla, scpianèla, bagnèla, sapèla, 'nsufrèla, ...e, se la nada l'era bugna, i s' favu 'na bäla vandömmia e al vin bun.
I laùr 'ntla vigna
La puadüra a s' fava d'invär 'ntal bäl ghjurnai e tur pör i möit a s' pudeva senti cantèe al frujötti; i vignaroij i pulighevu bén al caràci e i lasciavu un nuvèl cun cinq giämi da früt.
'Ntal pè i lasciavu foo un quai nuvél e pör fela mia curi e teinla 'n dre i lasciavu foo un quai scprun.
I taj mia fatch bén i duvevu si rbatùi e furnì da laurèe a gh 'ndava vüghi i ciöntesmi pör tära.
Dopu vei puà la vigna, a gh 'ndava 'nbuschèla guzzand i palèit ch'i tögnevu mia e bütand i növ.
A s' tiràva pöi sü 'nmönzand lighèe al caraci 'nti mözzaröij e dopu a sö scpianava i cöj fant di beij ligam sü i fil dö färu cu' i saljìn.
Pör 'ngrascèla, a s' tirava via la tära riva la gamba cun la sapa e s' fava un letch dö liam; dopu a s' quarchjava turna. Pör deghi aria e fèe 'ndèe l'aua riva al rej a gh' ndava sapèla.
Quant a gneva foo al foji, sö 'nmönzava al bagnadüri cun al vördöram e a söcunda dal nadi eru: quattru, ..sesc, .. ot ...
Quant laùr pör bagnèla! pegna la malatìa la 'ndava dint (caucinì, prönoscpera) i s' spasavu la vuj 'ntal paìs e i curevu sü cun la"vermurel", i tulùgni, la caucigna e al liquidu.
'Ntal vigni i gh'eru i tujò ch'i gnevu 'mpii cun l'aua dal crös o d'la boghja; a s' butava möj al sacät dal liquidu (vördöram) pör felu jlönguèe, a sö rgiungeva d'la caucigna e a s' trujava tüt cun un basctùn.
Quant a gneva 'n bel culùu blö sö 'mpigheva la vermurèl e ' s' pumpava pör fèe un bél gèt ch' al bagnava da sut e da sura al foji.
A s' lascia a la vöscta fantasia pönsèe cume j'eru duisaj i bagnaduj: causunaic e camijaci, un caplac e un fasülötac davanti la buca pör mia röscpirèe al liquidu.
Italiano
Le vigne
Quarant'anni fa c'erano tante vigne a Maggiora, adesso non ce ne sono quasi più.
Se andate su per le Cappelle o per il motto del Cerchio, vedete tanti bei muretti di sasso che trattenevano la ghiaia dei filari.
Quanto lavoro hanno fatto i vecchi nella vigna! adesso è diventato quasi tutto bosco e gerbido.
Per fare fruttificare la vigna bisognava seguirla: potarla, legarla sui fili, bagnarla, zapparla soffiarle lo zolfo, ... e, se l'annata era buona, si facevano una bella vendemmia e il vino buono.
I lavori nella vigna
La potatura si faceva d'inverno nelle belle giornate e in giro per le colline si poteva sentire cantare le cesoie; i vignaiuoli pulivano bene i grossi tralci e lasciavano un tralcio nuovo con cinque gemme da frutto.
Nel piede della ceppaia si lasciava un tralcio nuovo e, per evitare che si allungasse, lasciavano sul tralcio vecchio una gemma. I tagli poco precisi si dovevano rifare e a lavoro ultimato bisognava vedere i " centesimi " ( ritagli ) per terra.
Dopo avere potato la vigna, bisognava riassettare i pali aguzzando quelli che non reggevano e sostituendoli con i nuovi.
Si riallacciava ai pali legando i tralci grossi nei pali di mezzo e successivamente si legavano i tralci, facendo dei bei legamenti sui fili di ferro, con i salici.
Per ingrassarla, si toglieva la terra vicino al ceppo con la zappa e si faceva un letto di letame; successivamente si ricopriva.
Per dare respiro e fare penetrare l'acqua vicino alle radici, bisognava zapparla. Quando germinavano le foglie, si iniziavano le bagnature con il verderame e a seconda delle annate erano: quattro, ...sei, .. otto...
Quanto lavoro per irrorarla! appena la malattia entrava (oidio, pronospera), si informavano l'un l'altro in paese e correvano su con la "vermorel", le latte, la calce e il verderame.
Nelle vigne c'erano i tubi che venivano riempiti con l'acqua dell'avvallamento o della buca; si metteva a bagno il sacchetto del verderame per farlo liquefare, si aggiungeva della calce e si mescolava tutto con un bastone.
Quando si colorava d'azzurro, si riempiva la vermorèl e si pompava per fare un bel getto che irrorava di sotto e di sopra le foglie.
Si lascia alla vostra fantasia immaginare come erano vestiti i bagnatori: calzonacci e camiciacce, un cappellaccio e un fazzolettaccio davanti alla bocca per evitere di respirare il liquido
Attilio Marucco
Paroli | Parole | Verb | Verbi |
---|---|---|---|
Sasc | Sasso | Tegni | Tenere |
Ghjara | Ghiaia | Puèe | Potare |
Topia | Filare | Scpianèe | Spianare |
Nada | Annata | 'Ngrascièe | Ingrassare |
Puadüra | Potatura | Sapèe | Zappare |
Frujötta | Cesoia | Bagnèe | Irrorare |
Vignaröi | Vignaioli | 'Nsufrèe | Mettere lo zolfo |
Caracia | Tralcio grosso | 'Nbuschèe | Mettere i pali |